“Il falco maltese” di Dashiell Hammett.
Di Hammett vi avevo già raccontato – qui – e qui avevo già stroncato L’uomo ombra. Mi ero però ripromessa di leggere quello che, a detta di molti, è il suo capolavoro: Il falco maltese. Certamente un classicone, merito anche di Bogart. Anni fa vidi il film girato da John Houston e non ne rimasi poi troppo impressionata. Sarà che Bogart era piuttosto legnoso di suo, a fargli fare il duro – e il Sam Spade di Hammett è davvero tosto – si rischiava il bidimensionale. Temo che il risultato sia stato più o meno quello. Ma chi sono io, santo il cielo!, per parlare di cinema? Appunto, e quindi taccio.
Diciamo quindi del libro. Il libro è datato 1930, prima il testo aveva esordito in quattro puntate su Black Mask. La mia versione è uscita con Repubblica, su licenza Guanda e con traduzione di Attilio Veraldi. Ora, non so come dirvelo e un po’ me ne vergogno, ma credevo che Veraldi fosse nato a Milano. Me lo lasciavano sospettare quel pirla a pagina 82 – «Non fare il pirla, Dundy», disse l’investigatore –, i due pirla – Pirla una volta pirla sempre – a pagina 210, e quei tre “pirla” a pagina 218: Allora mi giudicherei io un pirla. E se mi giudico un pirla e in più finisco in galera, che dubbio avrò più d’essere effettivamente un pirla?. Il dubbio è lecito, anche sull’uso del pirla.
La vicenda di questo benedetto falco – servono un centinaio di pagine per capire che roba sia – è uno schema piuttosto complesso riassumibile così: tutti cercando di fottere tutti. Trattandosi di un hard boiled abbiamo ovviamente la bellona, e naturalmente il figo Spade se la tromba. Ma questo non è poi così importante, visto che nel resto del romanzo lui sfoggia una serie di sorrisi da paresi e un canchero via l’altro, ché cazzo non si può dire ma pirla sì.
A tre quarti del libro, durante il salottiero “tutti cercano di fregare tutti”, la modalità del romanzo passa dallo scompiglio allo sbadiglio, momento in cui il lettore vorrebbe capire se la fase di stallo abbia davvero bisogno d’essere narrata in tempo reale. Non la si poteva tenere più corta? Ad un certo punto ho sospettato si fosse addormentato anche il povero Dashiell. Ma chi sono io per dire male di Hammett, santo il cielo!, e dunque vi dirò che il testo riesce comunque a trarvi dal coma quando vi vedete propinare come niente fosse i fianchi rotondotti e le gambe rotondotte – li separa mezza riga di testo – a pagina 45, quel levantino – da pagina 47 in poi, sempre – quando si parla di Joe Cairo –, un «Non t’aspettavo prima delle cinque e venticinque. Spero di non averti fatto aspettare» a pagina 121, la fesseria che si fa fessata a pagina 134 e il che fine ha fatto? Rimane il fatto di pagina 142. Insomma, qualcosina da limare ancora c’è, ma chi sono io… ecco, ci siamo capiti.
Dove non arriva la vicenda, ci si mette l’editing a suscitare curiosità, a tratti pure ilarità. C’è anche Spade che diventa Spada a pagina 173, ma facciamo finta di niente perché pirla le batte tutte.
Il romanzo va comunque tra i “Libri sì”, anche per rispetto all’età, all’autore, a Bogart e a chi vi pare. Non che decida d’incorniciarlo tra i migliori mai letti, ma visto quello che scovo in libreria quando acquisto libri nuovi, buttare questo dalla finestra risulterebbe eccessivo. Persino per me.
Quindi, senza infamia e senza lode o prevale l’infamia? Magari il libro è invecchiato male…
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Al sior Hammett va riconosciuto il merito d’essersi stufato dei giochini enigmistici, dell’arsenico e dei vecchi merletti.
Immagino che le cinque stelline anobiane siano più un tributo all’autore che al libro. Poi, per carità, raramente la vecchiaia ci fa belli. 🙂
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Mi sa che possiedo la tua stessa edizione di questo libro, comprata ‘in diretta’ in edicola ormai parecchi anni fa. E non l’ho ancora letto, né ardo dalla voglia di farlo. Tu non vuoi dire male di Hammett, e riconosci merito a età-autore-Bogart. Condivido in parte (soprattutto nel confronto con certa paccottiglia moderna), ma non mi faccio problemi a dire di aver affrontato, in passato, una raccolta di racconti hard boiled dello stesso autore e di averli trovati ammorbanti e noioserrimi, uscendone esausta e delusa.
Difficilmente ho poi voglia di affrontare in opere più estese un autore che non riesco a sfangare a dosi rateali. E in alcune delle tue osservazioni su questo ‘falco’ riconosco mie passate riflessioni sullo stile di Hammett.
Quindi, direi che gli si riconosce tutto, per carità, ma con così tanti altri libri che attendono di essere letti… ehm, *coff coff* 😉
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Ecco, brava, ci siamo capite: con così tanti libri…
Però gli dovevo questa lettura, sennò mi sarei sentita in colpa. 🙂
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Ciao cara, mi servirebbe il tuo aiuto: stiamo tentando di rintracciare i pirla nell’edizione originale.
Potresti, basandoti sul numero di pagine che ho lasciato nella rece, darmi il numero dei vari capitoli?
Su Facebook ho il valoroso Francesco Peri che, da Parigi e con un Hammett ammeregano, sta cercando di venire a capo del quesito.
Io, e mi pare ovvio, il libro non lo trovo più.
Grazie!
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Come non detto! Non fare niente… ho scovato il libro da mamma mia e abbiamo risolto telefonicamente.
Ora attendo il responso dei traduttori.
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Ho letto che Veraldi era napoletano!!!
Ma come, pirla in un giallo americano degli anni trenta?
Certo che la traduzione – dagli esempi che fai – non è il massimo. E io mi ero annoiata anche vedendo il film. (Il libro non l’ho letto)
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Al primo pirla mi è scappata una risata, dal secondo in poi ho riso meno.
Sarei curiosa di scovare il termine ammeregano che il traduttore ha associato a quel pirla… per poi chiedere a qualche amica traduttrice di darmi alternative valide. 😀
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E dopo aver disturbato amici e parenti, ecco il responso di Francesco Peri circa il “pirla”: A meno di errori, il termine è “sap”, quintessenziale parola chandleriano-hammettiana. Sinonimo di chump, sucker ecc. Indica quello che viene fatto fesso, quello che paga per tutti, quello che alla fine della storia lo prende colà. Don’t play me for a sap = non fare il furbo con me, non sono nato ieri.
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Mi sto interrogando su un modo più consono di tradurre “sap” in italiano. Non è che i dizionari online offrano molto: sciocco, sempliciotto, cretino, stupido, gonzo… Mah!
E’ ovvio che «Non fare il gonzo, Dundy» non rendeva esattamente l’idea. Forse l’unica alternativa valida era “cretino”, ma mi sa che un po’ perdeva in sfumatura gergale.
Secondo wikipedia l’italiano per “pirla” è “co*lione”, ma forse lì si sarebbe un po’ trasceso (sempre per quella questione degli anni ’30 americani).
Insomma, una questione un po’ spinosa quella delle traduzioni da gergo a gergo, o da dialetto a dialetto. Veraldi non è il primo che sposa la teoria del tradurre un dialettalismo straniero rendendolo con un dialettalismo nostrano, anche se l’effetto, come avete giustamente detto, finisce per essere tremendamente straniante.
C’è un editore di fumetti giapponesi che usa la stessa tecnica: canzone popolare in originale? in italiano compare un ritornello di Ramazzotti; personaggi che parlano il dialetto del Kansai? in italiano parlano veneto; parole gergali? in italiano pioggia di slang bolognese.
A voi pare strano sentire Sam Spade dire “pirla”, ma figuratevi leggere dei contadini asiatici che parlano come Pantalone e Colombina… XD
Ripeto: non credo sia incuria, è proprio un modo di tradurre che sposa una certa idea di corrispondenza tra simili in paesi diversi. Come avete fatto notare, l’esito non è sempre dei più felici… °_°
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Sto immaginando un «Brisa far al surnaciòn, Dundy», e il ferrarese rende bene. Però, avendo citato i contadini asiatici che parlottano in dialetto veneto… be’, sì, adesso mi devi un’immagine esplicativa. Non posso morire prima di vedere una roba così! 😀
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grazie a Peri!
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Scusate, e poi perché Falco maltese? Il titolo storico voluto da Hammett è Falcone (falcon) altrimenti avrebbe scritto The maltese hawk. Immagino che chi lo ha cambiato volesse attrarre anche i fanatici della caccia.
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Il grandissimo – anche perché è un omone – Francesco Peri. È il mio souvenir del K-Lit, il festival dei blogger letterari di Thiene.
Se penso a un genio dal cuore d’oro, penso a lui.
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Gaia, io al primo pirla ho chiuso il libro. Non mi piacciono le traduzioni ammiccanti. E poi, perché pirla e non belin? O pistòla? …Poi l’ho riaperto leggicchiando qua , ma ormai la magia se n’era andata e sapevo di leggere Veraldi, non Hammett. Non sono arrivata in fondo. Non per Hammett che è comunque affascinante perché ha spalancato una porta, quella dell’hard boiled, in cui si sono infilati tutti. Ma per la traduzione che più arraffazzonata di così non si potrebbe. Sono troppo pigra per leggere il Falcone in inglese ma prima o poi lo farò. Hammett ha subito gli effetti del McCartismo e sembra che nel Falcone ci siano messaggi ai dissidenti che però, per noi, ora, sono difficili da cogliere.
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La traduzione ha fatto dei danni, direi che possiamo ammetterlo senza sentirci in colpa.
Chissà se anche un lit-blog del corso per lit-blogger lo annuncerebbe con altrettanta serenità…
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Le traduzioni di qualità richiedono competenza e umiltà. Soprattutto quando si traducono libri datati. E prima di mandare in stampa si dovrebbe fare l’editing. ma figuriamoci! Oggi è tanto se fanno una correzione di bozze.
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Temo tu abbia ragione. L’editoria tenta di restare a galla risparmiando. E risparmia di qua e risparmia di là, poi si comincia a notare che il prodotto finito non è all’altezza delle aspettative dei lettori. E la colpa a chi va? Ovviamente ai lettori: comprano e leggono poco, quindi non foraggiano adeguatamente la filiera. Avanti così, gira e rigira, si finisce in giostra.
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il prodotto finito non è all’altezza delle aspettative dei lettori. E la colpa a chi va? Ovviamente ai lettori
Analisi perfetta, come al solito.
Non metto faccine perché c’è ben poco da ridere.
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La colpa è brutta e non la vuole nessuno, darla ai lettori semplifica la vita.
Tanto è tutto uno scambio di cortesie tra addetti ai lavori e bidè letterari tra colleghi. I lettori? Quelli arrivano dopo, e fanno solo il loro dovere di lettori. Ma che lo facciano, santo cielo!, sennò cortesie e bidè di cosa campano? 😉
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mi sa che a uscirne male, qui, è soprattutto Veraldi… Eppure leggo che è stato un autore di gialli. Magari sapeva scrivere, ma non tradurre. O forse la sensibilità era diversa anche nel ramo traduzioni, qualche decennio fa. Leggendo la traduzione di Pavese di “Uomini e Topi”, mi sono fatta belle risate qua e là.
Certo, all’epoca non c’erano Internet e Urban Dictionary, e toccava arrangiarsi.
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Citare il topastro è un colpo basso!
Posso solo immaginare che, come dici, qualche decennio fa i lettori fossero meno sensibili alla traduzione e i traduttori spesso nei pasticci e costretti a “fare da soli”.
Però, ribadisco, tirare fuori Pavese e il topo è proprio un dispetto… 😉
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Scusate, e poi perché Falco? e non lo storico Falcone? Se Hammett avesse pensato al volatile avrebbe intitolato il libro The Maltese hawk. Ma immagino che l’editore abbia cercato di attrarre i fanatici della caccia.
Già questa scelta respinge.
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Già, perché il falcone si è fatto falco? Forse per richiamare il titolo italiano del film “Il mistero del falco”?
Ah, non saprei, ma falcone mi suona decisamente meglio.
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