“Nel cognome del popolo italiano” di Vito Tartamella (prefazione di Giampaolo Dossena).

Ormai sono entrata nel tunnel e, dopo avervene parlato qui, torno a farmi pippe mentali sui cognomi. A mia discolpa posso soltanto dire che questo saggio stava nella bibliografia di quell’altro e che Vito Tartamella l’avevo già letto in questa occasione.

Rispetto al saggio di Caffarelli, quello di Tartamella è meno discorsivo. Però ci trovi più roba, dati interessanti, una diversa visione della faccenda. E se Caffarelli tentava di fare breccia nel cuore dei lettori curiosi – come sarà nato il mio cognome?, lo portano in tanti o sto sfoggiando una rarità? –, Tartamella vuole accalappiare i cultori della psicognomìa. E questa roba qui – branca della psicologia nota agli iniziati e probabilmente a chi di cognome fa Figarotta – cerca di mettere in luce quanto «Il cognome può essere determinante nella vita psichica e relazionale di una persona» (pagina 179). Inutile dire che i cognomi sono come i leggins, devi avere un gran culo – inteso come fortuna – o una buona dose di autoironia. Valga come esempio la notizia dell’allenatore cacciato dal campo per aver urlato «Finocchio, mettila fuori!». Ecco, io vorrei chiedere al calciatore Francesco Finocchio quanto sia difficile sfoggiare quel cognome facendo vita di spogliatoio. Eppure il nostro eroe continua a portarlo, non mi risulta abbia chiesto di poterlo cambiare. Forse ha letto Tartamella, magari si è detto che, essendosi i cognomi fissati nel medioevo e poi messi giù per iscritto una volta per tutte – diciamolo pure: papali papali – per effetto del Concilio di Trento del 1563 per «evitare il rischio di matrimoni tra consanguinei» (pagina 246), probabilmente quel finocchio deriva da occhio fino, magari l’avo a cui deve il cognome era un tizio con una vista strabiliante. O magari no, magari era guercio e lo si perculava in quella maniera. Insomma, non sempre – e anzi quasi mai – i cognomi sono quello che sembrano.

Nella recensione del saggio d’onomastica di Caffarelli vi raccontavo del mio cognome, un aggeggio che è stato inventato e appiccicato ai miei avi dai papalini, e così sono andati persi diversi secoli della mia storia familiare. Del resto, accadeva ai confinati quanto succedeva ai detenuti di Alcatraz: li si spogliava di una identità. Ma, così facendo, il mio cognome ha una sua storia da raccontare e un preciso luogo e secolo di nascita. E poi, come spiega Tartamella, uno il proprio cognome lo deve trovare adatto a sé per poterlo portare con soddisfazione: sapermi convenuta – da cui Conventi – nel Delta e vantare avi settecenteschi assalitori di bastimenti non può che farmi contenta. In effetti dice molto di me, potrebbe essere un caso o, come sostiene Tartamella, potrei essermi adattata. Sembra succeda in diversi casi, magari chi sfoggia un cognome che racconta di fierezza e coraggio è portato – per onorarlo o per viverlo al meglio – a mettere in luce proprio quelle caratteristiche. Non dico mi darò mai alla pirateria, ma certo del mio Convenuti-Conventi sento di poter adottare il lato briccone. E poi non immaginate quanto successo abbia questo racconto in un dopocena tra amici. Perché tutti, davvero, siamo curiosi di sapere da dove arriviamo. I cognomi ci aiutano a sapere in maniera piuttosto precisa il luogo da cui proveniamo – torno al mio cognome: è tipico di Goro (FE), chiunque lo porti sa che il nostro trisavolo buonanima arriva da lì –, ci raccontano il mestiere del tizio che ha dato origine alla nostra stirpe – Fabbri, Calzolari, Zappaterra e via andare – o le sue caratteristiche. I Rossi – in Italia ne abbiamo un esercito – probabilmente avevano un antenato rosso di capelli, cosa talmente originale e fuori dal comune che dire “i tizi imparentati col tale dai capelli rossi” era un modo pratico per indicarli: erano loro. Poi i cognomi si sono fissati – anche nel genere, spesso terminante in -i per distinguere un gruppo di persone, ma ovviamente non funziona così ovunque e proprio dalla coda del cognome possiamo stabilire se una persona è sarda o magari veneta – perché occorreva che ogni persona fosse individuabile. E pagasse le tasse. In seguito serviva sapere che non ci si sarebbe sposati tra persone della stessa famiglia – i reali non fanno testo, la dispense papali erano all’ordine del giorno –, e i cognomi hanno via via fatto di noi ciò che siamo. O così dice la psicognomìa.

Il testo di Tartamella non è più in commercio, l’ho scovato di seconda mano. Con un po’ di fortuna e qualche ricerca online. Chi l’ha letto prima di me deve averlo fatto per sostenere un esame, solo così mi spiego le sottolineature a penna rossa e le ulteriori torture effettuate con l’evidenziatore. Non sapremo mai se quello studente lombardo – nel libro è rimasta una graffetta col logo “Cassa Lombarda”, mica sono una veggente! – abbia ottenuto un buon risultato e se in seguito si sia dato stabilmente all’onomastica. Il fatto che l’abbellimento di righe rosse termini a pagina 185 – il libro ne ha quasi 300, includendo bibliografia e indice dei cognomi – mi fa temere che il poveretto si sia rotto le scatole. Magari poi ha fatto Ingegneria e, visto come butta, mica gli posso dare torto.
Un’ultima curiosità prima di chiudere: molti cognomi sono stati italianizzati – ai preti piaceva così – ma quelli veneti no. Se vi siete sempre chiesti perché, ricordatevi che la Serenissima era un grande stato – ricco, influente, cazzuto – dove si parlava una lingua, sancita come lingua vera e non come semplice dialetto. Ok, lo ammetto, sono strettamente imparentata col Leone di San Marco. Ma ora basta con queste receslawe autocelebrative, sennò levo il pane ai miei biografi.

Se vi ho incuriositi con l’onomastica, vi consiglio di cominciare da Dimmi come ti chiami e ti dirò perché di Enzo Caffarelli. Più colloquiale e semplice da reperire. Ma non scartate l’idea di mettervi a cercare – serve un buon cane da cognomi e tartufi – questo testo di Tartamella. Vi darà delle soddisfazioni.

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Scrivo, ma posso smettere quando voglio.

13 risposte a ““Nel cognome del popolo italiano” di Vito Tartamella (prefazione di Giampaolo Dossena).”

  1. sandra dice :

    Sempre dell’idea che certi bei cognomi siano una garanzia di tranquillità a scuola, almeno al momento dell’appello. Rossi, Bianchi, e cose semplici come Meroni, Casale, senza doppi significati. Senti, ma oggi è il Tramando day, o sbaglio?

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  2. Daniele dice :

    Browser birbone… mi limiterò a dire che nomi e cognomi, specie se in combinazioni particolari, sono più pericolosi della nitroglicerina 🙂

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  3. sandra dice :

    Be’ io conosco una coppia ALLEVI – POLLI ti immagini la partecipazione di nozze? Lì però non è colpa di nessuno, i cognomi così in sé non sono esilaranti, è l’accoppiata che ti stende. Non parlarmi di lego che ho passato ore con i nipoti a dividere i vari tipi.

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  4. ilcomizietto dice :

    Il mio è marchigiano, fra la provincia di PU e AN. Ma la sua provenienza ci è ignota. (Mio padre dice che verrebbe dall’altra parte dell’adriatico, ma non mi ha portato prove a riguardo.)

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