“Permette?… Idem. Piacere, Incrociatore” di Mario Turolla e Ugo Bertaglia, con prefazione di Diego Marani.
Anni fa avevo letto e recensito il sequel, e Alchermes e l’Anisetta mi avevano dato grandi soddisfazioni. Ma proprio non riuscivo a scovare il fratello maggiore di questa allegra famigliola di nomi e cognomi, e l’ho cercato ovunque. Finalmente qualche giorno fa sono riuscita ad acquistarlo e ora, dopo averci guardato dentro, posso nuovamente ribadire che la mia zona – oltre alla salama da sugo – sa proporre delizie onomastiche di tutto rispetto.
“Nel cognome del popolo italiano” di Vito Tartamella (prefazione di Giampaolo Dossena).
Ormai sono entrata nel tunnel e, dopo avervene parlato qui, torno a farmi pippe mentali sui cognomi. A mia discolpa posso soltanto dire che questo saggio stava nella bibliografia di quell’altro e che Vito Tartamella l’avevo già letto in questa occasione.
“Dimmi come ti chiami e ti dirò perché. Storie di nomi e cognomi” di Enzo Caffarelli. Per il Reading Challenge 2016 e con recensione facciale.

Un saggio assai saggio. E poi si ride!
Stamattina facciamo contenta la categoria 7 del Reading Challenge 2016: “Un libro non di narrativa (saggi, poesie, ecc.)”. Chi mi conosce non si stupirà di vedermi alle prese con un saggio d’onomastica. Sarebbe stato ben più sorprendente se avessi scelto un testo poetico, a quel punto in tanti si sarebbero preoccupati.
Alchermes e l’Anisetta: stravaganze anagrafiche ferraresi
Nell’epoca della globalizzazione, quando le Jessiche italiane sono ormai sul punto di soverchiare il primato delle Marie, è bello poter tornare alle origini: le mie sono ferraresi, per quanto l’influsso veneto non sia da sottovalutare. Ma non siamo qui per parlare di geografia, anche se pure questa ha il suo peso all’anagrafe: bambini battezzati Libia e Bengasi, ad esempio — in odore di vecchie ed effimere conquiste —, ma anche la territorialità legata al battezzare poveri bambini innocenti con nomi davvero assurdi. L’Emilia in questo è famosa, soprattutto in quei tempacci in cui la famiglia era una tribù legata alla terra, la fame era tanta e tutto il resto scarseggiava. Già, ma la fantasia non mancava e dare nome al nascituro era cosa gratuita e spesso l’unico modo per lasciare una traccia di sé. Bando quindi alla solita Maria, meglio Anisetta, che — Dio l’abbia in gloria e la faccia campare cent’anni! — quando ritroveremo su qualche lapide ci rimarrà di certo più impressa.
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