I misteri di un libro sui misteri

Emilia Romagna misteriosa
“I personaggi fantastici, le storie segrete e i luoghi magici di una regione tutta da scoprire”

di Matteo Bortolotti

Castelvecchi, 2010
costo 16,90 euro.

Una guida un tantino fantasiosa, ma mi permetterò di ritoccare solo ciò che riguarda Ferrara, città che conosco bene.
Ogni capitolo è introdotto da un racconto in tema col mistero proposto, ne ho letti un paio e sono passata oltre, il mio interesse primario era capire cosa l’autore avesse scovato di magico nella mia città.
Da tempo tengo in piedi una piccola rubrica online, con note su facebook poi riportate nel mio blog fatiquei, chiamata “Ferrara è una repubblica fondata sugli Estensi”. Nelle ultime puntate mi sono proprio occupata della famiglia d’Este e, documentandomi a riguardo, ho scovato moltissimi tragici e truculenti avvenimenti. Mi sono quindi chiesta cosa potesse raccontarmi di nuovo il libro che prenderò con voi in esame.

Parte sesta – Ferrara

Capitolo 32 – Cona, Il fantasma di Villa Magnoni

Salto senza troppe remore la “maledetta” Villa Magnoni a Cona, inutile dirvi che alle disgrazie che portano infestazioni credo poco. Un conto sono i topi che portano la peste e il postino che porta le bollette, disgrazie diverse sono ancora da valutare in maniera scientifica.

Capitolo 33 – Marfisa: morire d’amore

Nel capitolo successivo, tra le storie truci ferraresi, si parla di Marfisa d’Este, “nota” per accalappiare amanti da far poi sparire in pozzi a rasoio. Chi era questa maliarda assassina che, ai giorni nostri, ancora vaga per la città sopra un carro fantasma, rincorsa dagli amanti trucidati? Per prima cosa vi rendo noto che casa di Marfisa sta proprio davanti all’Arcispedale S.Anna, a due passi dalla guardiola del Pronto Soccorso. Zona più sorvegliata non c’è, fosse capitato qualcosa di così singolare… vuoi che sulla prima pagina del Carlino non l’avessero sbandierata? Ok, ok, mi direte che a Ferrara siamo un branco di fessi e a certe cose non badiamo, ma torniamo allora a parlare di lei: Marfisa d’Este.

Tanto per essere professionali, vi dirò che sott’occhio ho “Estensi, storia e leggende, personaggi e luoghi di una dinastia millenaria” di Riccardo Rimondi, dove si narra che Marfisa, figlia illegittima di Francesco d’Este, marchese di Massalombarda, e sorella di Bradamante, era una gran bella tipetta: bionda e con le guanciotte alla Heidi, pienotta e un tantino appariscente. Coltissima, come tutte le dame estensi, era anche un’anticonformista: quando andavano di moda i capelli raccolti e coperti da un velo, lei li portava sciolti… in barba a tutti!

Siamo nel 1578 e Marfisa è costretta a sposare il cugino Alfonsino, figlio di Alfonso da Montecchio. Il cugino crepa dopo tre mesi di matrimonio, e subito le linguacce incolpano l’estrosa Marfisa di averlo ucciso a forza di daje e daje; che Alfonsino fosse di salute cagionevole non è passato per la testa a nessuno. Ecco quindi che la nostra Marfisa già si trova sul groppone una nefandezza di cui non ha colpa, ma andiamo avanti con la faccenda.

Marfisa non è addolorata del lutto: e chi lo sarebbe? Le è stato imposto un maritino mezzo morto, in tre mesi si saranno visti un paio di volte, tra un ballo a corte e una caccia col falcone, questi due manco si sentivano parenti! Dopo due anni si risposa, e stavolta la cosa funziona a meraviglia perché, caso raro per quei tempi, Marfisa e Alderano Cybo di Massa e Carrara, si piacciono un mucchio. Da questa unione nascono sette figli, tanto per farvi notare che Marfisa non aveva poi tutto questo tempo libero e questa privacy per invitare gli amanti a casa propria, la Palazzina Marfisa, appunto, per poi farli cadere in fantomatici pozzi rasoio. A sua discolpa, inoltre, il lungo soggiorno a Massa, dal 1594 al 1598, assieme al marito… e da là non ci arrivano notizie truculente sul suo conto. Quando la famiglia d’Este, in seguito alla devoluzione della città allo Stato Pontificio, è costretta a ritirarsi a Modena, Marfisa non si muove, rimane a Ferrara e il papa non ha nulla da ridire.

La leggenda che la trasforma in una adescatrice folle viene da racconti popolari e, se proprio vogliamo metterci del sangue, è meglio ricordare lo scandalo che coinvolge la sorella Bradamante: il marito, il conte Ettore Bevilacqua, si invaghisce di Anna Guarini, moglie del conte Trotti. Non ve la faccio lunga, sappiate solo che il conte alla fine uccide Anna, la fedifraga, nella villa di Zenzalino (a Copparo, FE) a colpi d’ascia. Abito a poca distanza da Zenzalino, posso assicurarvi di non avere mai visto il fantasma della povera Anna Guarini lamentarsi d’alcunché.

Capitolo 34 – La fonte del sangue

Nulla da dire sul misterioso avvenimento successivo, il miracolo della chiesa di Santa Maria in Vado è pienamente documentato da più fonti: durante la Messa di Pasqua del 1171, dall’ostia sgorgò un fiotto di sangue, le cui tracce ancora sono visibili. Fin qui tutto bene, passiamo al prossimo.

Capitolo 35 – Gli amanti del Castello Estense

Si torna a parlare, e dico si torna perché di Ugo e Parisina, giovani amanti fatti decapitare da Niccolò III, ne hanno narrato un po’ tutti. La cosa fece scalpore, capirete anche voi, la matrigna che se la spassa col figliastro!

Quando giunge a Ferrara, Parisina ha 13 anni, nel 1419, e, dopo solo un anno di matrimonio, mette al mondo due gemelline. Nel frattempo, nella famiglia allargata, perché Niccolò III spargeva figli a destra e a manca ma poi li voleva tutti a casa, educati come principi, Parisina e il figliastro Ugo si guardano in cagnesco. Con l’arrivo di lei, la mamma di Ugo, Stella de’ Tolomei, storica amante di Niccolò, ha perso il posto ambito… è chiaro che il ragazzo, di poco più giovane della matrigna, non l’abbia in simpatia. La cosa spiace a quel buontempone di Niccolò, che fa di tutto perché i due si frequentino, e fa anche troppo visto che li manda in viaggio a Ravenna, onde cementare l’amicizia. Da lì in poi i due vanno d’amore e d’accordo, anche a letto, finché nel maggio del 1425, quella linguaccia di Giacomo Rubino (il più grande ficcanaso di corte) va a spifferare a Niccolò l’intera faccenda, dopo averla appresa da una damigella di Parisina, in lacrime per essere stata trattata con poca grazia. Apriti cielo! Niccolò vuole le prove certe del tradimento e spia i due amanti, li coglie sul fatto e li condanna a morte. In tre giorni i due vengono imprigionati, processati e ammazzati: alla faccia delle lungaggini della giustizia odierna!

Una cronaca anonima di quel tempo narra i fatti in questo modo: Parisina è talmente arrabbiata con Niccolò da rifiutare di confessarsi coi frati Domenicani, che vanno a trovarla in cella per prepararla come si conviene a raggiungere l’Altissimo. Lei urla e chiama Ugo, smette solo quando le dicono che lui è già morto, a quel punto si mette calma e dice che non vede l’ora di fare la stessa fine… che donna! Era il 21 maggio 1425, Parisina aveva da poco compiuto 20 anni e Ugo ne aveva 19.

Ma torniamo al libro in questione: secondo Matteo Bortolotti, i due giovani hanno 14 e 15 anni e vengono decapitati alla Torre Marchesana con altre donne fedifraghe, pare scelte a caso, non trovo menzione di un sorteggio. Probabilmente a qualcuno sfugge che alla Torre Marchesana venivano rinchiusi solo i “personaggi celebri”, quelli d’alto rango. La gentaccia era invece imprigionata nelle carceri cittadine del Palazzo della Ragione, a pochi passi dal castello.

Si legge nel Diario Ferrarese di autore anonimo:

«MCCCCXXV, del mese de Marcio, uno luni, a hore XXIIII, fu taiata la testa a Ugo,
figliolo de lo illustre marchexe Nicolò da Este, et a madona Parexina,
che era madregna de dicto Ugo; et questo perché lui havea uxado carnalmente con lei.
[…] Et furono morti in Castel Vechio, in la Tore Marchexana:
et la nocte furno portati suxo una careta a Sancto Francesco et ivi furno sepulti».

Nessun cenno ad altre vittime, in rete si dice addirittura di 800 donne ferraresi messe a morte. Come la cosa potesse riuscire in tre giorni e senza lo scompiglio generale dei miei concittadini, o l’immediata scomunica del Papa… beh, è fantascienza. Nessuna notizia quindi di uccisioni sommarie nella pubblica piazza o di intasamenti di gente, che manco meritava tanti riguardi, nella Torre Marchesana: si tratta di una burla, un’esagerazione, una bufala.

Capitolo 36 – Sant’Antonio in Polesine e il fluido miracoloso

Verissima invece, e anche qui siamo nel club dei miracoli, la storia del fluido miracoloso di Sant’Antonio in Polesine, che fu il primo monastero femminile della città estense, creato per accogliere Beatrice d’Este, figlia del marchese Azzo VII Novello. Beatrice morì nel 1262 e l’acqua con cui il corpo venne lavato fu conservata e distribuita ai fedeli che reclamavano un souvenir della monaca prima della sepoltura. Pare che così siano iniziati i miracoli e, ancora oggi, dopo che le ossa della santa nel ‘500 sono state messe dentro un’urna, la condensa viene regolarmente raccolta e donata ai fedeli. Potete crederci o meno, ma la cosa succede e quindi nulla da ridire con Bortolotti.

Capitolo 37 – L’orma del Diavolo

Matteo Bortolotti ci spiega che la chiesa di San Domenico ha, nel pilastro a destra dell’entrata laterale, i segni delle unghie del malefico, che avrebbe sferrato un colpo per acciuffare un suo adepto, pentito. Purtroppo si scorda di dirci che la chiesa in questione ha visto ben di peggio!

Sulla mia scrivania ho, in cartaceo, il pdf distribuito dal Comune di Ferrara: “Passeggiando per Ferrara, Tre itinerari alla scoperta della città antica” di Francesco Scafuri.
La zona scoperta, dietro l’abside della chiesa di San Domenico, è conosciuta come “piazzetta dell’inquisizione”, qui i Domenicani assistevano alle pubbliche abiure, accanto alle prigioni del Sant’Uffizio, demolite solo nel 1800. Lì, probabilmente, c’era anche la “camera dei tormenti”, cosa ben più inquietante di certe zampate!

Ma veniamo alla leggenda di questa zampata, cosa che in “Emilia Romagna misteriosa” manco viene raccontata: Antonio Chiozzini, detto il Chiozzino, ingegnere idraulico di indubbia bravura, vive a Ferrara tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo. Per spaventare i bambini, si narra che il Chiozzino abbia trovato in cantina un vecchio tomo di stregoneria, con cui ha potuto evocare il demonio. Il malefico gli appare in sembianze umane e diventa il suo aiutante, tal Magrino. Il Chiozzino in quei tempi diventa un vip, lo chiamano persino a Vienna per mettere mano alla rotta del Danubio. Alla fine, nonostante i denari e la fama, il mago, che tanto mago non era ma se continuo a dirvelo poi vi sciupo la leggenda della zampata, si stanca di Magrino e del patto demoniaco. Un giorno i due escono per una passeggiata e il Chiozzino finge d’aver scordato a casa la tabacchiera, chiede all’aiutante di tornare indietro a recuperarla e sfrutta il momento per rintanarsi nella chiesa di San Domenico. Magrino capisce ben presto che lo si vuole fare fesso, torna indietro ma, cercando d’acciuffare il Chiozzino, riesce solo a lasciare l’impronta famosa. Aggiungo che le fantomatiche impronte sono ben due, a voi scovare entrambe.
La leggenda prosegue raccontando che Magrino, forse per colpa di un esorcismo dei Domenicani, non riesce a tornarsene a casa, rimane sulla terra ed è costretto ad aggirarsi, urlante, nella zona del Barco. Vi rendo noto che, a quei tempi, il Barco era covo di ladri e delinquenti, zona franca per malefatte di qualsiasi genere… comodo quindi mettere in giro la vicenda di questo demonio, come a dire: brutti curiosi state alla larga e fateci delinquere in pace!

Nella bibliografia, oltre a testi che vertono sui segreti, le leggende e le curiosità dell’Emilia Romagna, scovo tre link: luoghimisteriosi, daltramontoallalba, croponline.

A voi farci un salto, magari scoprirete fantasmi anche nel giardino di casa vostra.

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  1. La gentaccia | CharlestonSlips - 11 marzo 2011