Traduttori: ci risiamo! Il malcostume dilaga e il traduttore lo si cita tra gli eccetera.
Cosa fa un traduttore? Traduce, mi sembra chiaro. E se traduce un libro o un articolo, io – piccola carogna che mastica e sputa l’inglese come fosse una medicina cattiva – mi affido alle sue capacità e alla sua sensibilità per sapere che si dice dall’altra parte del mondo.
Lo faccio io e lo fate anche voi, se, come me, siete portati per le lingue straniere quanto un orango per la danza classica. Lo dicevamo qui, ricordate? Il nome del traduttore va citato, chi non lo fa non stia a raccontare balle: o è pigro di penna o è pigro di testa.
Quindi, non per ribadire l’ovvio, ma la voce italiana di un autore straniero è la voce del suo traduttore. Avete mai letto un autore straniero tradotto da persone diverse? Cambia la voce, cambia lo stile e, tutto sommato, cambia parecchio anche il libro. Io l’ho notato con Lansdale, tanto per dire. Allora, ribadendo l’ovvio fino allo sfinimento, se leggo un libro di Lansdale in italiano, sto leggendo l’interpretazione – conoscenze teoriche e pratiche, nottate in bianco e resa in lingua italica – datami da quel traduttore. Chiaro il concetto? Direi di sì, perché la cosa ormai è palese per tutti, tranne per gli addetti ai lavori.
Finalmente in qualche rivista letteraria, in qualche recensione, in qualche scheda… in qualche ma non in tutte, i traduttori sono citati. Sì, ma non accanto al nome dell’autore. No, macché! Vengono infilati di sbieco, in piccolo, di traverso… I traduttori, per qualche genio dell’acquario editoriale, hanno lo stesso valore di chi impagina, di chi titola e, probabilmente, di chi mette il cellophane ai libri prima di ficcarli nello scatolone diretto in libreria. Non mi credete? Leggetevi l’articolo – qui – di Paolo Antonio Livorati.
Lì si parla del magazine culturale – versione cartacea – de Il Sol(on)e24ore che ha la brutta abitudine d’inserire «l’accredito […] in corpo 2 nella piega della rilegatura, cioè invisibile ai lettori». Ed è solo l’ennesimo esempio di questa annosa questione, faccenda che magari potrà non toccare più di tanto i lettori frettolosi ma che, credetemi, è uno specchio dei tempi.
I collaboratori editoriali – metteteci dentro qualunque qualifica, la cosa non cambia – sono trattati con sufficienza dagli alti ranghi dell’editoria, e del giornalismo. Sono semplicemente dei “passaggi obbligati” per poter andare in stampa. E io qui m’incazzo, e m’incazzo perché il lavoro va sempre rispettato, nella sua sostanza e nel darne pubblicamente accredito. E se ci arrivo io, lettore-capra-che-non-conosce-le-lingue, non vedo perché teste pensanti e illustri esempi d’alta cultura non debbano semplicemente fare quello che la giurisprudenza, il buonsenso e le buone maniere impongono: citare il traduttore accanto al nome dell’autore e al titolo dell’opera.
Cosa talmente semplice che anche un cretino… già, anche un cretino. Ci siamo capiti?
38 risposte a “Traduttori: ci risiamo! Il malcostume dilaga e il traduttore lo si cita tra gli eccetera.”
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- 5 dicembre 2012 -
- 5 dicembre 2012 -
- 6 dicembre 2012 -
- 6 dicembre 2012 -
- 5 settembre 2013 -
Come si può non condividere? E di corsa!
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Traduttori, avanti tutta! 😀
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E condividiamo subito anche questo bel pezzo, ché di essere considerati come cellophanisti dei libri (senza nulla togliere ai cellophanisti, ci siamo capiti) non se ne può più!
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Eh, lo so… o meglio, non lo so, mica sono un pezzo grosso dell’editoria! 😉
Grazie per la condivisione, vediamo se si riesce a fare un po’ di cagnara.
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condiviso.
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Grazie Slog!
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in qualità di traduttrice, concordo. anche se… onestamente… avessi dovuto tradurre 50sfumature… avrei chiesto l’oscuramento del mio nome.
eh, sì, l’avrei comunque tradotto: in qualche modo bisogna pur mangiare…
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Ecco, questa cosa non l’avevo valutata. 😀
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eh, purtroppo non si può avere troppa puzza sotto il naso…
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grazie 🙂
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È sempre un grande, dannatissimo piacere! 😀
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Si, mi sembra giusto, così anche loro possono ricevere a buon diritto oneri ed onori di quel che ci sta tra le pagine. Perché spesso, a non pensarci, del traduttore si notano solo le mancanze quando fa un errore macroscopico.
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Proprio così. Si nota la presenza del traduttore solo quando si scova la magagna. E quando il libro fila via liscio? Niente. Lì pare che la traduzione si sia fatta da sola.
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C’è anche da dire, che in alcuni casi un pessimo lavoro di traduzione può anche essere imputato all’autore. Perché, se non ci si pensa, è facile criticare le scelte lessicali e la costruzione ostrogota senza rendersi conto che, magari, è tutta farina del sacco del sedicente traduttore.
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Ormai condivido, nel pensiero – e in facebook 🙂 – ogni tuo post. Starò diventando una sottospecie di stalker?
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Immagino di no, ti fai viva solo ora e non mi chiedi nemmeno un paio di mutande in ricordo!
No, assolutamente, non hai i requisiti minimi per fare lo stalker. Mi spiace. 😉
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e io che speravo di aver trovato la strada giusta… ci metterò più impegno 😛
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Apprezzo l’impegno. 😀
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Grazie di essere dalla nostra parte, Gaia. Ti consiglio però di aggiungere, come da mio pezzo, che i nomi dei traduttori sono riportati anche nel colophon – peraltro ugualmente invisibili – e in fondo all’articolo nel solo caso della rubrica finale di Paul Berman. Altrimenti dai un appiglio a Rocca per accusarti di dire il falso, come ha tentato (senza successo, perché la cosa è nero su bianco) di fare con me.
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Grazie per il suggerimento. Se qualcuno si farà vivo per fare storie, l’avvertirò di leggersi prima il tuo pezzo – taggato nel mio.
A quel punto, se le storie dovessero continuare, l’inviterò ad attaccarsi al colophon. 😉
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Gaia, che dire?
Un “grazie” gigantesco e assordante mi pare sia d’obbligo. 🙂
In effetti, si sarebbe un po’ stanchini di essere considerati (quando ci considerano) non dei professionisti senza i quali non ci sarebbe nulla da impaginare né da cellophanare, come dice il buon Livorati, ma una genìa di mezzemaniche inutili (c’è sempre Google Translate, no?) che hanno anche la pretesa di “comparire”.
Sì, perché le suddette “teste pensanti” ritengono che la citazione del traduttore non sia affatto il doveroso riconoscimento, peraltro obbligatorio per legge, di una professionalità, di un lavoro, di una voce, ma semplice smania di protagonismo.
Glielo diciamo ai francesi – che mettono il nome del traduttore in copertina, accanto a quello dell’autore – che si sono fatti abbindolare da una banda di narcisisti?
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Ah, questi francesi! Sempre pronti a dare il cattivo esempio! 😉
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Condiviso su FB e sottoscrivo parola per parola! Proprio oggi, mi sono arrivate le risposte che ho fatto a un altro traduttore, Alessio Lazzati, prossimamente sul blog. E comunque lo notavo quando vado alla ricerca delle schede dei libri sui siti di alcune case editrici, in cui non sempre trovo il nome del traduttore…devo andare su altri siti!! Assurdo..:(
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Eh, il traduttore!
Ci sono cose che uno tende a scordare: le chiavi, gli ombrelli, i traduttori… 😉
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Mi sono letta i tweet di Paolo (che ringrazio per la testimonianza) e mi chiedo come si fa a non avvelenarsi il sangue? Nel 2012 ci sono ancora un sacco di lavori “nascosti” su cui però, pochi altri, ci fanno un businnes della madonna!
A me ste cosa smontano, ma di parecchio…mah!
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L’editoria è una brutta bestia, vedremo di domarla. In compagnia la cosa riesce meglio. 😉
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Condivido in toto e confermo quanto detto da Cecilia: ho riscontrato più volte che perfino gli stessi editori, editori anche piuttosto noti, nei cataloghi dei libri presenti sul loro sito omettono il nome del traduttore!
Ho l’impressione però che ci vorrà ancora tanto, troppo tempo perché ci sia riconosciuto il giusto. Questo, come altri articoli e iniziative varie, va portato all’attenzione di tutti, degli editori, dei recensori ma anche dei lettori, che sono perlopiù inconsapevoli della nostra delicata opera di mediazione, altrimenti le nostre rivendicazioni tenderanno a restare chiuse nel nostro circolo, come grida di flagellanti condannati a vivere nell’ombra.
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E allora scriviamoli questi articoli! 😀
Siore e siori, amici blogger, scrivete post sui traduttori: è il momento di fare chiasso, fuori le trombette, picchiate sulle latte e fatevi sentire.
Fatelo come blogger e come lettori, e se vi diranno che state facendo le fusa per una categoria, dite chiaro e tondo che voi fate il tifo per i libri.
Avanti che la strada è lunga… meglio farla in buona compagnia.
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Questa è un’anticipazione all’intervista che ho fatto al traduttore Alessio Lazzati:
10. Quanto, a tuo avviso, c’è informazione e apprezzamento sul lavoro di traduttore, sia da parte delle case editrici, ancorché del lettore?
A.: Ti rispondo con un altra battuta. Pochissima informazione e attenzione. A meno che non si tratti di criticare il lavoro di un traduttore: allora ce n’è tantissima 🙂
e interessante altra opinione di Seba Pezzani:
10. Quanto pensi sia considerato e apprezzato il lavoro del traduttore?
S.: Penso che sia apprezzato. Comunque, più di una volta. Ma detesto sentire i traduttori lagnarsi del trattamento economico e dello scarso apprezzamento di cui godono. Fare il traduttore letterario è un privilegio e, come tale, ha un prezzo da pagare. Ma è ben poca cosa rispetto alla bellezza del lavoro. E comunque, ripeto, il traduttore buono è quello oscuro, quello che si tiene nell’angolo più buio della stanza…
e quella di Marco Piva Dittrich:
14. Quanta gratificazione c’è nel vedere la pubblicazione di un libro tradotto da te? E, a tuo avviso e ascoltando anche l’esperienza di tuoi “colleghi”, il lavoro del traduttore viene sempre riconosciuto appieno?
M.: La cosa migliore per un traduttore è leggere le critiche e le recensioni del romanzo e non vedersi nominati se non nei crediti del libro. Il traduttore è come il bassista di una band rock (e indovina che strumento suono): lo si nota davvero solo quando fa una grossa cappella. Nella mia esperienza il lavoro di traduttore è riconosciuto a sufficienza dalle case editrici,
Spero di non essermi dilungata troppo e..parliamone, parliamone, parliamone!
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Condivido anche io, che solitamente ti leggo in silenzio
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Eh, in silenzio! In silenzio non è divertente… 😀
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Giustissimo tutto quello che hai scritto!
Anche perchè il traduttore ha una grandissima responsabilità e spesso si trova davanti a problemi di soluzione non immediata (certi giochi di parole a volte sono difficili se non impossibili da tradurre mantenendo il senso del discorso e anche il gioco stesso).
Se non ricordo male, ci fu un bel po’ di polemica sulla prima serie di The Big Bang Theory, proprio perchè i dialoghi erano stati tradotti ed adattati snaturando completamente quelli originali.
Se poi parliamo di libri, molto del successo degli autori stranieri qui da noi è dovuto a chi e come ha tradotto l’opera: una cattiva traduzione (o addirittura, nel caso di “saghe”, una traduzione non coerente a quella degli altri volumi… magari perchè affidati a persone diverse) è capace di rendere un libro sgradevole.
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Traduttore a volta un mestiere ingrato, ma quanti buoni traduttori ci sono veramente? Le agenzie mediocri e truffaldine ne fanno vivere tanti a scapito del pregio e valore della nostra professione.
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