“Tre uomini in barca” di Jerome K. Jerome.
Un classico del ridanciano, una risata inossidabile, una storiella mai cretina. Nella mia versione – brossura BUR del luglio 2011, con introduzione di Mario Cancogni, traduzione di Alberto Tedeschi e con le illustrazioni originali della prima edizione – il cane non è degno della copertina.
Vi siete sempre arrovellati tra Tre uomini in barca (per non parlare del cane) e Tre uomini in barca (per tacere del cane)? Bene, da oggi potete smetterla di farvi ‘ste pippe: levate di mezzo il cane e starete subito meglio.
Per dovere di cronaca, all’interno il cane c’è – menzionato nel titolo, intendo – e si è optato per la seconda soluzione: per tacer del cane, tacendolo però sulla coloratissima copertina. Copertina piuttosto bruttina, a dirla tutta. In compenso sulla quarta c’è un intervento – assolutamente inutile – di Nicola Lagioia. Ci spiega che «Le scorribande di George, Harris e Jerome (per tacer del cane…) lungo il Tamigi ci rimettono soprattutto in contatto con due tesori le cui tracce si sono fatte sempre più labili nella vita e nella letteratura successive: l’ozio e l’innocenza dello sguardo».
Perché vuoi levarmi la voglia di leggerlo, eh? Ti ho forse fatto un dispetto?
Ma c’è una cosa che – molto più delle sparate auliche di Lagioia – mi ha lasciata perplessa. La prima edizione BUR di questo romanzo è del 1974, eppure il testo continua a rigurgitare refusi. A pagina 102 – dopo errorini, dimenticanze, punti piazzati a caso – inciampo in «noi c’era dubbio possibile, ma dove fosse andata a finire labarca in questione…»… ehm, scusate, vi è morto l’editor? Avevate lì Lagioia, non gli potevate chiedere di buttare un occhio alla bozza? Così, in amicizia, tanto per meritarsi l’apparizione in quarta di copertina?
Nell’introduzione di Cancogni – per fortuna una roba breve, detesto le introduzioni che se la tirano e sproloquiano – si legge che «Tre uomini in barca, uno dei racconti umoristici più famosi della letteratura mondiale, scritto nel 1889, nacque da un malinteso». Dello stesso anno anche Il Piacere di D’Annunzio, l’apertura al pubblico della Torre Eiffel e il primo vagito della mia bisnonna materna: insomma, nel 1889 sono successe cosette piuttosto interessanti.
La storia prende spunto da una gita in barca che Jerome ha davvero compiuto; lo scrittore squattrinato aveva fatto un viaggetto lungo il Tamigi annotando faccende storiche e paesaggistiche, deciso a ricavarne una guida pratica. Una narrazione lunga e noiosa come la messa in latino, tanto per capirci. Il suo editore – che volpone! – decide di tagliare qui e là, e gli sbrana via tutte le digressioni storico-letterarie: quanto rimane è la rocambolesca fuga da casa, e dalla realtà quotidiana, di tre borghesi impomatati, tre ometti nel fiore degli anni. Con tanto di cane al seguito… e che cane!
Il cane è un fetente, mordace, bizzoso e incazzoso esemplare a quattro zampe. Il cane ha la sua dignità di cane e di coprotagonista, non fa il pirla come nei cartoni della Disney, non fa tappezzeria come nelle sit-com americane. Il cane, a tutti gli effetti, è il quarto personaggio di questa storia.
Vi lascio con una delle tante perle di Tre uomini in barca, siamo a pagina 114 e Jerome ci racconta il piacere della sazietà: «La gente che ha provato, afferma che il sentirsi la coscienza tranquilla rende felici e soddisfatti; ma il sentirsi la pancia piena fa il medesimo effetto e poi costa meno e si ottiene più facilmente». Meditate, gente, meditate!
Io, nel frattempo, passo a Tre uomini a zonzo. Poi vi dirò cosa sto combinando…
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No. Questa recensione è bellissima e mi hai appena dato un’idea fenomenale.
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Il merito va all’autore del romanzo e alla genialità della BUR.
La BUR non fa libri, fa catafalchi portatili per recensioni cattive.
Grazie BUR!
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L’ho riletto da poco, ma è sempre un piacere.
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Sono passata alla fase 2: “Tre uomini a zonzo”. Poi c’è la fase 3… a sorpresa! 😉
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Caruccio anche quello, ma come tutti i numeri due … non rende allo stesso modo.
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Eh, lo so, ma ci sto trovando qualcosa d’interessante, qualcosa che forse si annida tra le righe…
Insomma, ti dirò.
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Ci sono parecchie cose carine, questo senza dubbio.
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Li ho letti entrambi da ragazzina (edizione cartonata di editore ormai defunto, ma ricordo molti meno refusi…). Il primo è decisamente meglio, ma nessuno dei due mi piacque al 100%.
Anni dopo lessi invece “Appunti di romanzo”, e lì sì!, mi sbellicai. Sarà che avevo l’età per capire certe battute: imho J.K.J. non è per niente un autore per l’infanzia…
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Colgo il suggerimento e cerco il libro. Grazie! 😀
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Oh no, Jerome in alcuni passaggi è troppo raffinato per poter soddisfare appieno un lettore gioVine. Più che altro credo che a diverse età corrispondano diverse profondità di lettura. Se non altro perché si ha occasione di confrontare quanto narrato con la realtà conosciuta fino a quel momento della propria vita.
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Direi che è proprio così, mi ponevo lo stesso problema leggendolo: un ragazzino riuscirà a cogliere le sfumature di questo libro? Magari no, ma immagino rimanga comunque una lettura piacevole.
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Anche se non riuscirà a cogliere tutto avrà comunque modo di capire abbastanza perché la lettura scorra piacevolmente. Inoltre avrà l’occasione di leggere un testo capace di polverizzare molta della paccottiglia moderna se non altro a livello di costruzione e terminologia.
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