“Tre uomini a zonzo” di Jerome K. Jerome.

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Come anticipato nella recensione di Tre uomini in barcasono passata di slancio a Tre uomini a zonzo. Poi vi spiego perché, ma prima vi racconto del libro.

Anche stavolta mi sono avvalsa della collaborazione della BUR – comprando questa coloratissima pacchianata del dicembre 2011 –, edizione con copertina bruttarella e introduzione loffia – ma con qualche spunto degno di nota – di Giorgio Manganelli, traduzione di Alberto Tedeschi e le illustrazioni della prima edizione.

«La risata di una persona solitaria con un libro in mano è uno dei pochi risultati squisitamente umani che potrebbero commuovere un antropologo extraterrestre», spiega Manganelli a pagina 5, e direi che fin qui ci siamo. Poi si lancia in un melodramma arzigogolato sullo stato di famiglia dello zio Podger – «zio Podger è lo zio di Jerome, e quindi è prozio del lettore» (pagina 11) – che mi lascia un po’ perplessa: posso scegliermi i parenti cartacei visto che il libro l’ho pagato di tasca mia? Lo spero vivamente, dato che già mi devo cuccare la quarta di Diego De Silva: «Questo romanzo prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, che del semplice inchiostro stampato su carta può consentire la visione di una quantità sterminata d’immagini» e mi chiedo se valga solo per «questo romanzo» o se tale inequivocabile verità valga anche in altri casi. Sì, insomma, me la posso riciclare la quarta?

«La particolarità dell’immagine evocata dalla pagina scritta», continua De Silva, «consiste nell’imprimersi direttamente nella forma incancellabile del ricordo. Quando un libro è scritto in questo modo, non c’è cinema che tenga». E quando una quarta è scritta così, viene il dubbio che Diego De Silva non si sia preso la briga di leggere il libro. O magari sì, ma non ci giurerei.

La BUR stampa questo libercolo dal ‘76, ma continua a lasciarci dei refusi. Certo in numero minore rispetto a Tre uomini in barca ma potete star certi che non mancano. Ora, mi chiedo, mentre la BUR valutava queste coloratissime – e bimbominkieske – copertine, mentre invitava De Silva a fare un salto in quarta a parlare di un libro, uno a caso… non poteva chiedere a un correttore di bozze di rileggersi il testo? Pure nel tempo libero, eh? Anche di notte, con la lucina mortifera sul comodino, ne avrebbe scovati parecchi. Io li ho sottolineati con cura, se la BUR ha bisogno d’aiuto, me lo faccia sapere che ci accordiamo per uno spritz a refuso.

Due parole sul libro, un classicone talmente classico che, ad andare troppo per le lunghe, si farebbe la figura di quello che pretende di descrivere un ombrello risultando originale.

La critica che spesso si fa a Tre uomini a zonzo è l’impossibilità di raggiungere i toni comici del fratello maggiore, la versione in barca, diciamo così. In effetti si ride meno, ma si ride con maggior cinismo.
Mollata la barca e, anni dopo, presa la bicicletta, i tre amici vanno a spasso in Germania. Il cane non c’è, il cane è passato a miglior vita e, se anche ci fosse, non si saprebbe dove cacciarlo: nel cestino della bici come le signore bene di Ferrara? Mmm… no, direi che la scelta di seppellire il cane è la più ovvia.

Ci troviamo a fare la conoscenza coi tedeschi del 1900, uomini che amano la campagna e l’ammansiscono come fosse un giardinetto, che amano guardare panorami solo se qualcuno gli spiega dove volgere lo sguardo e le alte cime solo se ci trovano l’area picnic. Jerome consiglia di mandare in giro per l’Europa il tedesco medio in maniera tale che la gente rida dei suoi tic: «Far la guerra con quella gente? Sarebbe troppo assurdo» (pagina 139) e tu, che già sai come sono andate le cose, ti dici che forse c’è poco da ridere.

Il tedesco, come ce lo racconta Jerome, subisce il fascino della divisa, dà retta a chiunque la indossi e preferisce pensare in gregge. Non sarà un complimento, ma forse Jerome non intendeva farne. Ovviamente sparla pure degli inglesi – «Ma chi ha diffuso la conoscenza dell’inglese da Capo San Vincenzo ai monti Urali è il cittadino britannico il quale, incapace di imparare una sola parola d’una lingua che non sia la propria, o ben deciso a non impararla, viaggia col portafoglio in mano da un capo all’altro del continente. Ci si può scandalizzare di fronte alla sua idiozia e alla sua presunzione, ma rimane pur sempre un fatto concreto: è lui ad anglicizzare l’Europa» (pagina 198) – e dà la parola agli animali. Non ha più il suo cane, ma se la cava coi cavalli e i cani degli altri. Tutto sommato, i cavalli tedeschi risultano più intelligenti degli umani di uguale nazionalità.

Finale con pistolotto degno della quarta: «Il tedesco sa governare gli altri e farsi governare, ma non sa governare se stesso» (pagina 239), quello tedesco è comunque un buon popolo, a patto che a guidarlo ci sia una mente illuminata. Siamo nel 1900 e com’è finita la favola lo sappiamo tutti.

Insomma, Tre uomini in barca faceva sorridere… ma Tre uomini a zonzo a me ha messo i brividi. E ora passo al terzo step: Tre uomini in Po di Beppe Gualazzini. Vi dicevo che volevo fare le cose con metodo, no?

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7 risposte a ““Tre uomini a zonzo” di Jerome K. Jerome.”

  1. Stranoforte dice :

    Dai, signorina pignoletti, la copertina è bella e la quarta la puoi riciclare se ti chiedono un qualcosa su una silloge di poesie.

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