“Parolacce” di Vito Tartamella.
Perché le diciamo, che cosa significano, quali effetti hanno. Che suona un po’ come “chi siamo, dove andiamo, troveremo parcheggio?”. Insomma, i piccoli drammi di una vita.
Parolacce è un saggio à la Focus – bella forza, Tartamella è caporedattore del mensile! – che racconta vita – quando nascono e perché –, morte – come cambiano nel tempo – e miracoli – bestemmie e imprecazioni mistiche – delle parole tabù.
Tenete presente che gli insulti ci esentano dalla gastrite e ci evitano di menare a randello il primo che passa. Quindi, tutto sommato, risultano una buona cura a prezzi contenuti e una guerra lampo senza spargimenti di sangue. Il turpiloquio – qui ne abbiamo recensito l’elogio – ha una sua pratica e una sua grammatica, è il nostro linguaggio emotivo: lo impariamo presto e non lo scordiamo più. L’esperienza, grazie al cielo, ci aiuta a stabilire quando usarlo e in che misura.
Le oscenità di oggi risalgono quasi tutte al Medioevo, una parolaccia resta tale finché chi la pronuncia e chi ne viene investito la ritengono parola tabù. Il suo potere sta tutto qui: chi la dice e chi l’ascolta devono intendersi su ciò che la parolaccia evoca e su quanto è lesiva.
E poi ci sono le parolacce dello slang, e se non sapete che accidenti vogliono dire, allora non fate parte del club. La trivialità serve anche a questo, a rendersi incomprensibili agli estranei. O a tenere all’oscuro i genitori. Ma, attenzione!, la parolaccia non è soltanto un fatto d’adolescenti sboccati.
La volgarità – più o meno marcata – è abitudine di classi alte e basse, e di ogni età. Non esiste prova provata che oggi si sacramenti più di ieri, l’uomo sacramenta da secoli: per allontanare il nemico, per farsi coraggio nelle sfighe – e lì si guarda in su –, per marcare il territorio – io posso perché sono il tuo capo, tu non puoi e basta! –, per provocare il riso, per fare gruppo e stabilire un contatto più ravvicinato – lo “stronzetto” amicale, per capirci – o per arrapare l’oggetto del desiderio. E poi sì, certo, anche per condirci i film.
Interessante la parte letteraria, con numerosi stralci; anche se, tocca dirlo, dopo un po’ le zozzerie ammorbano. Forse è il caso di leggere questo saggio a piccole dosi, e guai a usarlo come scusa per aumentare il consumo pro capite di volgarità! Un vaffanculo è una buona chiosa, troppi vaffanculo sono virgole sparse a casaccio.
[Qui il tweeterribile Parolacce di Vito Tartamella].
23 risposte a ““Parolacce” di Vito Tartamella.”
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- 3 Maggio 2014 -
- 8 Maggio 2014 -
- 26 luglio 2014 -
- 14 settembre 2014 -
- 13 aprile 2016 -
Ma vaffaculo
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Eh, ma stai ancora al livello base! 😀
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era per vedere l’effetto che fa
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C’è il punto fermo, il punto e virgola e il vaffanculo. Se usato bene, rende l’idea. 😀
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Occhei dai, ora qui ognuno di noi scriva qual è la propria parolaccia preferita quando un editore ti fa incavolare.
La mia è il classico vaffa, non sono per niente originale.
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Scordando – ahimè! – d’avere buona mira, sono una fan del «crepa!».
Devo assolutamente cambiare imprecazione.
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voi nordici non potete apprezzare quanto sia liberatorio un bel “ma li mortacci tua!”, con gesto della mano annesso
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Qui suonerebbe molto esotico. 😀
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il gesto è quello che qui viene riprodotto per “look at that asshole”:
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Ammetto che, col gesto, deve dare la sua bella soddisfazione! 😀
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In un articolo scientifico anni fa lessi che dire parolacce quando ci si fa male aiuta a sentire meno dolore. L’avevano dimostrato tramite questo esperimento: dei volontari dovevano inserire una mano in una ciotola d’acqua ghiacciata; il gruppo A poteva sfogarsi a piacimento con le parolacce, il gruppo B no. Analizzando il dolore percepito dai partecipanti, nei volontari del gruppo A si riscontrava una soglia del dolore più alta. Niente male per delle parole tabù!
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Esperimento a cui credo ciecamente, tutte le volte che prendo uno spigolo.
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E’ molto bello dire le parolacce anche a gente che non ha fatto nulla. Magari quando guidi e qualcuno gentilmente ti concede la precedenza anche se non ti spetta tu lo saluti poi dici a voce alta nell’abitacolo: “la prossima volta fatti i cazzi tuoi”, oppure magari ti soprassa la corriera e tu, sempre a voce alta chiosi: “Oh ma che bella sfilata di culi”. Eccetera.
Per non dire la gente che cammina per la strada per gli affari propri, è troppo bello dir delle parolacce ad hoc, tipo: cornacchia, pinguino, merdoso, eccetera.
E anche polverina di piedi. Mi fa star bene.
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L’ha ribloggato su L'arme, gli amori.
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Cmq, la mia preferita è quando la gente in macchina ti lampeggia a cazzo (tipo pretende che tu ti muova anche se davanti hai un pullman fermo) e tu abbassi il finestrino e gli fai “lampeggia tra le cosce de tu’ sorella che ce sta più traffico!”. Non sapete la soddisfazione.
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Notevole!, mi sa che devo scendere a Roma per un corso di perfezionamento. 😀
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Mi piace questa ripresa dei classici di Giramenti. Fanno bene alla mia demenza.
Vado a dirne un poco, che devo pulire casa e non ne ho voglia.
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Sì, siamo tornati al classico. Ci dona. 🙂
Buongiorno Comiz, dai che oggi è domenica e non si fa una ramazza!
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